Lapis and Notes



Lapis and Notes


Post Scriptum:

Welcome.
(To the Jungle).

"Gli svedesi hanno capito quello che la Scavolini ancora no. Ovvero. Che la gente comune ha 40 mt quadri per farci stare un letto, una cucina e un water. E ha sempre sognato la penisola. Poi si è ridimensionata, nel momento in cui ha realizzato un fatto.
Che i sogni si pagano al metro quadro".







mercoledì 27 luglio 2011

Modalità d' Uso. Posologia. Principi Attivi.(Leggere attentamente le avvertenze).

Categoria A. 
Dolore/Sofferenza/Strazio         

- Helpless, N. Young (Arrendevole)
- Trouble, Coldplay (Lagnosa)
- Brompton Oratory, N. Cave (Fondativa)
- Birthday, Blur (Ossimorica)
- Nude, Radiohead (Panica)
- Where is my love, Cat Power (Dispersa)
- Breakin us in two, J. Jackson (Camuffata)
- Colorblind, Counting Crows (Estenuata)
- Hurt, Nine Inch Nails (Colpevole)
- You are my sister, Anthony and the Johnsons (Tremebonda)
- Tears in heaven, E. Clapton (Affranta)
- Gooan Daginn, Sigur Ros (Boreale)
- La canzone dell'amore perduto, F. De Andrè (Tragica)
- The blowers daughter, D. Rice (Irrimediabile)
- Needle in the hay, E. Smith (Sostitutiva)
- Saturday Sun, Drake (Speranzosa)

Adatte a: situazioni tragiche-amori incompresi e/o finiti-strazi del cuore-momenti di down emotivi e cerebrali- scarsa lacrimazione- insensibilità emotive-meditazioni-elucubrazioni-libere associazioni-caratteri spigolosi e irascibili.



Categoria B.  
Gaiezza/Gioia/Allegria

- Ob-la-di Ob-la-da, The Beatles (Filastroccheggiante)
- Dance dance dance, The Beach Boys (Coinvolgente)
- Country House Blur (Bucolica)
- The Passenger, I. Pop (Realistica)
- Seaside Rendezvous, Queen (Vintage)
- Kiss, Prince (Sexy)
- Brimful of Asha, Cornershop (Spensierata)
- The touch of grey, Grateful Dead (Peace & Love, and Legalize It)
- Jump, Van Halen (Atletica)
- Happy, Rolling Stones (Giubilante)
- Walls come tumbling down, The Style Council (Rocambolesca)
- Johnny B. Goode, C. Berry (Storica)
- Baba O' Riley, The Who (Eroica)
- The loco-motion, Little Eva (Ritmica)
- Papa's got a brand new bag, J. Brown (Estenuante)
- Walk of life, Dire Straits (Solodicorsa)

Adatte a: situazioni gaudenti-momenti danzanti-grigliate alcoliche-chili in eccesso-serietà ripetuta e prolungata nel tempo-tristezza compulsiva-stati di ansia e agitazione-paranoia-irritabilità-rigore eccessivo-nerds-razionalità recidiva.


Analisi postuma, difettosa e sostanzialmente inutile. (Ma che richiede un sacco di minuti di recupero, oltre i supplementari, anche).


Capita, alle volte, che l'amore finisca. Anzi, capita molto spesso, che l'amore finisca. Prima o poi. Dopo aver compiuto il suo corso, breve o lungo che sia, in tutte le sue fasi. L' innamoramento, la cieca passione, l'idealizzazione, la condivisione di interessi e opinioni, la costruzione di obiettivi comuni, la fiducia-stima-sintonia reciproca.
Se qualcuna di queste va storta, è facile che - per chi riesce a guardare in faccia alla realtà (e non è facile nelle questioni di cuore) tutto l'ambaradan volga dritto per dritto alla scritta a caratteri cubitali "The End" (e vissero felici e contenti, ma non insieme).

D'accordo. Forse sono stata un po' troppo sbrigativa.

Ma non è questo il punto.
Non è nella fine di una relazione, la sofferenza.
Non si annida nella conclusione, nel finale. No. Anzi, molto spesso, la fine libera da essa, elimina le frustrazioni, affranca dal senso di colpa, esclude dalle accuse, interrompe una discesa verso un irrimediabile punto di non ritorno. Un punto dove i comportamenti diventano ciclici, dove non ci si accorge nemmeno più di quali errori vengono commessi, perdendo il senso di realtà. Un punto in cui non si condivide più, non ci si confronta più. A dato stimolo A, corrisponde data risposta B, come i cani di Pavlov. Non si riesce più a costruire niente. Rimane solo lo scontro, la distanza, l'amarezza, l'idea di avere sbagliato, di avere visto una persona solamente con i nostri occhi, come la avremmo voluta, senza considerare come è davvero. Che è poi ciò che, alla fine, conta.
Avremmo dovuto guardarla anche con i suoi, di occhi.

La conclusione arriva, rendendoci anime in pena, vertiginosamente libere.
(E si è sempre un po' in pena, quando ci si vede costretti ad affrontare un cambiamento, sia esso voluto da nostre o altrui decisioni. Poi, mettici, che siamo molto bravi a complicarci la vita. Chè ci vogliamo tutti sguazzare un pochino, nella merda).

La vera sofferenza, dico, quella vera - non le lagne e i lamenti con i quali cerchiamo comprensione - sta nel difficile tentativo di liberarsi dalle richieste del nostro ego: di quel malsano e ipocrita senso di possesso verso l'altro da sè. Un senso invadente e arrogante di poter fare, di decidere, di volere, che, a ben vedere, non ci dovrebbe riguardare così tanto.
Diventa presto necessario mettersi da parte, arrivare alla consapevolezza di non essere più il centro nevralgico della vita di un altro, di non essere poi così importanti, così indispensabili, come ci eravamo illusi di essere. O che forse eravamo stati davvero. Un tempo, che non è più.
L'ego subisce così una enorme sconfitta, un declassamento, una umilizione e viene messo alla berlina di eventi che non può più controllare, facilitare o impedire. Non è più chiamato in causa. Non ha più voce in capitolo.
E non solo l'ego della vittima, anche quello del carnefice:  nel momento in cui la vittima smette di fare la vittima anche di fronte a se stessa (e voglio supporre che succederà, per questione di amor proprio se non altro) anche il carnefice viene privato del proprio ruolo, all'apparenza più forte. Solo all'apparenza. E, con il passare del tempo, le due parti in causa arriveranno ad essere simili. Ad avere nostalgie, rimorsi, rimpianti. A ripensare ad errori, accuse, rivendicazioni. Entrambe.
Chè poi ci pensi a cos'è che hai sbagliato. A cos'è che non ha funzionato. Sia che tu abbia agito o subito l'azione di lasciare.


Il non possedere più fa soffrire (perchè prima, quando l'amore c'era, si era illusi di possedere qualcuno - cosa alquanto fantasiosa, infantile e ridicola). Non avere più potere. Non essere più cercati. Non avere più l'attenzione su di sè. Ci si sente privati. Disarmati. E' questo il vero punto. Perchè sì, mancheranno tante altre cose: l'affetto, la comprensione, la fiducia, il sesso, il sostegno, il confronto, lo scambio, la seduzione. Ma c'è quella cosa lì. E' quella che fa incazzare di più. Rimane incastrata nello sterno.
I due ruoli, quello di vittima e di carnefice, sono complementari ma hanno confini molto labili. Tendono ad interscambiarsi spesso. A confondersi, a provocarsi. Per vedersi in azione. Per sentirsi vivi.
Quante volte è capitato che i carnefici rivedessero le proprie posizioni, una volta realizzato che quelle che erano state le loro vittime (peraltro gli era pure toccato elaborare due o tre cosine, giusto giusto, a quelle poverette - chè magari 6 o 7 anni di storia ne porta via di roba con sè - ci vuole del tempo a catalogare tutto), lasciate sofferenti e indifese, stavano cercando di ricostruirsi una vita, di liberarsi dalla dipendenza emotiva da loro, bellamente mano nella mano con chicchessia, senza giustamente averli nemmeno in nota, quei poveri carnefici, che si ritrovano con le pive nel sacco?

A chi non è capitato di interpretare entrambi i ruoli alzi la mano.

Vedi?
E' incredibile quanto siano tutti così simili, sfuggenti, incomprensibili, inspiegabili, incoerenti, transitori, mutevoli, soggetti alle stesse leggi, alle stesse bassezze e agli stessi magistrali giri di valzer, i sentimenti di noi esseri umani.

Anyway.

C'è da ricordarsi che nessuno soffirà mai per te per troppo tempo. Per averti perso. Non crederti così indispensabile. Rimarranno solo bei ricordi, con il passare del tempo. In grado di farti sorridere, anche. Se lo vuoi. Se sai accettare che le cose cambiano. Che tutto cambia. Evolve. O se ne va. Se non era quello il suo posto. Per fare spazio a nuove cose, diverse forse. O forse simili.
Come, allo stesso modo, non soffrirai tu in eterno, per qualcuno che non è più al tuo fianco. A prescindere da chi ha deciso cosa. Non ha importanza.

L' amore si rigenera sempre.
Non è più possibile soffrire per amore, con questa elementare consapevolezza.


The show must go on.




lunedì 18 luglio 2011

I Fondamentali, dovete imparare i fondamentali. Ecco cosa ci dicevano, quando credevamo di diventare tutti dei grandi giocatori di pallone.

“Hanno tutti ragione” è il primo romanzo del regista Paolo Sorrentino. La storia raccontata inizia a cavallo tra il 1979 e il 1980. Il protagonista è Tony Pagoda un cantante melodico napoletano che ritorna dall’America a Napoli, dopo anni. Ha un passato interessante e carico di ricordi che racconta nella prima parte del libro. Ricordi di adolescenza, gli amici di sempre, l’amore per Beatrice, l’unica donna che abbia davvero amato. Tony è un essere umano cinico, cattivo. Ma di una cattiveria intelligente, se così si può dire. Intelligente, meschina e quasi inevitabile. Una cattiveria che rende noi umani, costantemente vittime e carnefici. Lui stesso ci pensa spesso a questa cattiveria, ne parla senza pudore, entrandoci dentro, capendola appieno e quasi elogiandola.

Quanto cazzo è vero che ogni uomo ha il suo dolore. Tutti anche l’ultimo merdoso foruncolo al crepuscolo di uomo ha il suo dolore e ci sarebbe materiale sufficiente per rispettarlo. Ti viene voglia di rispettarli tutti quanti gli uomini quando ti raccontano cose così. Ma poi non ci riesci, perché perlopiù, la cattiveria ti assale negli angoli sempre liberi, come l’aspirapolvere, come un tartaro strafatto di cocaina, la cattiveria ti rende agguati notturni al cuore, fa razzia di te, ti stupra e ti violenta e si porta via i soprammobili del tuo corpo lasciandoti con un altro po’ di vuoto, un po’ più in là il vuoto, questa volta, contaminato con i sensi di colpa

Vive solo di musica, Tony. Di donne, di sesso, di cocaina. Non riesce a vivere senza, eppure sa gestirla benissimo. Non sopporta nulla e nessuno. Detesta le persone che girano in tuta da ginnastica o piuttosto le cittadine del centro Italia, che si trova a conoscere così bene per via delle tournee che fanno parte del suo lavoro. Cittadine che hanno apparentemente una vita linda che lo infastidisce e si ritrova a riflettere su Napoli, regalando alla città parole bellissime.

Solo la mia città ha ancora un minimo senso con quell’apertura alata a mare, sterminata. Ti dà la sensazione che se vuoi puoi fuggire. Poi non fuggi mai

Credo che siano parole che solo chi è nato a Napoli può comprendere sul serio. Quel senso di soffocamento e libertà che la mia città, da sempre, ti fa sentire. Una volta tornato in Italia, Tony si ritrova a gestire il rapporto con la moglie che chiederà il divorzio, spiazzandolo completamente. Decide di lasciare di nuovo l’Italia e parte per il Brasile. Lascia la musica per circa venti anni e si trasferisce a Manaus, dove coltiverà l’ossessione per gli scarafaggi e per l’umidità. Arriva il 1999 e un onorevole italiano lo raggiunge e lo invita a ritornare in Italia e alla musica, chiedendogli di cantare a casa sua, per la notte di capodanno che vedrà l’avvento del nuovo millennio. Tony accetta. Si trasferisce a Roma e lavorerà con Fabio. Lì passerà gli ultimi anni della sua vita e gli ultimi pensieri sono affidati a un Tony settantaseienne che si ritrova in un lungo tramonto romano a sognare i suoi genitori e a pensare all’unica donna amata, Beatrice.

Il libro è tutto raccontato in prima persona e Tony mostra, continuamente, una serie di verità. Come quando dà, ad esempio, una definizione stupenda e cinica della vita.
Chi l’ha inventata la vita? Un sadico. Fatto di coca tagliata malissimo“.

Andrebbe letto con accanto un taccuino dove segnare pagine, parole, intere frasi. Troppe verità amare, ci racconta Sorrentino. Troppi sorrisi disillusi riesce a strappare. Sorrisi che diventano ghigni e poi attenzione totale e poi pensieri che diventano corpo, dopo aver letto le idee e la schiettezza del protagonista. E’ il suo primo romanzo. E gli è riuscito da Dio.


La distrazione. La massima invenzione dell’essere umano per continuare a tirare avanti. Per fingere di essere quello che non siamo. 
Adatti al mondo.

P. Sorrentino

venerdì 8 luglio 2011

Essere diretti (detto come va detto).

Esemplificando:





Ecco. Oggi gira così.
Un post cazzone da venerdì pomeriggio.
Non si poteva pretendere di più.
Senza fatica. Senza scrivere niente.

Detto come va detto.

giovedì 7 luglio 2011

Su una approssimativa Antropologia Umana: in principio era il Caos. Anche dopo.

Ognuno di noi, e per "noi" intendo coloro che - come me - hanno avuto abbastanza culo di essere nati in un punto del globo terrestre in cui vengono soddisfatti i bisogni primari (come spiega in dettaglio il nostro amico A.H.Maslow che, da lustri, presenzia fedele e preciso con la sua brava piramide in ogni libro o trattato di Psicologia) ha una vita costellata di persone che fungono da punto di riferimento affettivo e sociale e da metro di paragone per capire cos'è che vogliamo e cosa invece no.
Le persone che fanno parte della nostra vita, ognuno a suo modo, ci aiutano a capire, ci insegnano, ci mostrano qualcosa. L'osservazione e il confronto sono un modo per capire come vorremmo essere e come invece non vorremmo mai. Un modo per cogliere punti di vista che non avremmo mai considetato, idee che non ci sarebbero mai venute e opinioni che non sarebbero mai state così articolate: allargare la visuale del nostro personale paraocchi in dotazione.
Dove stanno le differenze e dove invece i punti in comune.
Da qui profondi sodalizi, magiche intimità, insostituibili affinità di modi di vivere e di pensare. Di trovarsi insieme, in un qualche modo, nel palcoscenico tragico e comico, della vita. Scelte elettive, reciproche stime, fiducie importantissime, condivisioni spontanee, racconti di sera tardi senza paura di essere giudicati, mai. Risate complici e quel non detto che, vai a capire come fa. Ma ti basta solo uno sguardo di intesa.
E ogni volta, regolare, ti spiazza.
Che poi è anche uno delle cose più affascinanti la sospensione del giudizio. E' difficile. Ed è difficile che capiti di non sentirselo addosso, costante, fluente, il giudizio, macchinato da mille sguardi e mille cervelli famelici che aspettano solo che qualcosa sia in fase di accadimento per poter attivarsi. Mille parole spesso a sproposito basate solo su tre o quattro degli N elementi che sono indispensabili anche solo per una semplice ma approfondita opinione personale.
Fa la sua differenza.
Attraverso quella che è la vita vissuta e lo scambio con le persone di cui sopra, si creano la quotidianità e le Esperienze*.

 * Esperienza:

- Un evento che ricordi nel tempo, sia con gioia che con dolore. Quindi che presumibilmente ti ha fatto provare emozioni.
- Un evento che spacca in due un arco temporale, un fluire di un tempo altrimenti uguale a se stesso.
- Un viaggio.
- Un lavoro nuovo e tutto cio' che comporta.
- Una perdita.
- Una conoscenza.
- Un provare a dire sì, quando hai sempre detto no.
- Un provare a dire no, quando hai sempre detto sì.
- Guardarsi vivere dall'esterno.
- Provare a mettersi nei panni di.
- Seguire il proprio istinto.
- Imparare a fare qualcosa che non hai mai fatto.
- Dare possibilità agli eventi di accadere.
- Considerare che i sensi di colpa non servono, quasi mai.
- Essere ricettivi, il piu' possibile.
- Essere presente a te stesso, sempre.

Uno dei rimpianti più grossi che non vorrei mai avere a somme tirate è quello di non avere esperienze da raccontare.
Solo raccontando e spiegando le radici di una consapevolezza, di una opinione, di un saper fare o un saper essere, è solo così che puoi essere veramente credibile. Che non desti il sospetto di avere indosso una maschera. Solo se racconti quello che ci sta prima, all'inizio inizio, una specie di prologo, quello che nessuno vede mai, ma che è il principio. Di te. E serve per capire, per non perdere il filo.
Che poi le persone si avvicinano, ti raccontano a loro volta. Si fidano se ti mostri, almeno un pochino. Però c'è da stare attenti: se ti mostri, devi capire quando. Il Quando giusto. E soprattutto, se ti mostri, devi anche capire con chi. Le Persone Giuste. Chè con i racconti e le descrizioni bucoliche, gli scenari marittimi e montani, i soavi pensieri, i dolci ricordi, il profumo dei tigli e le scorribande giovanili, anche tutte le ignobili bassezze trovano un varco per uscire una ad una, in fila indiana. E si fanno riconoscere. Per nome. Precise.
Le brutture, le paure, le indecisioni, le fatiche del cuore e delle braccia. La stanchezza, l'essere disarmato, le dichiarazioni di belligeranza, i rancorosi assoli di passate relazioni amorose e non, le idee bislacche e un tanto deliranti, i progetti mai realizzati, le peggiori offese, le cattiverie di bassa lega, le vendette meditate a lungo e le assolute, vigliacche fughe.
Ti devi tutelare assicurandoti che le persone a cui riservi questa matassa di roba semi-catastrofica sia in grado di poterla accettare, comprendere. Analizzare. Supportare e sopportare, anche. In un qualche modo, che non so. Ma non giudicare, no. Nessuno ha il diritto di riscrivere al tuo posto. Perchè è la tua storia, e si parte sempre da lì. 
Dall'inizio. Dalle radici.
Da quello che ti è dato supporre, presagire, preventivare, immaginare, sognare, idealizzare, progettare, provare, credere, ipotizzare.

Ma che non ti è dato sapere, mai.


Mai in modo oggettivo.
Mai una volta per tutte.

lunedì 4 luglio 2011

Ciò che non uccide, fortifica. Dicevano.

Succede che riuscite a organizzare una roba abbastanza carina, in quelle domeniche estive che c'è troppo casino per andare al mare. E non avete alcuna voglia di guidare, di stare in colonna, di bestemmiare per trovare uno spazio di sabbia libero, dove appoggiare una salviettina di 80x50 cm.

Succede quindi che andate al Lago, al Laghetto ai Portici per la precisione. Dove c'è il Wsp 2.0 il Wakeland System Park. 

E succede che viene fuori una giornata di quelle fighe fighe.

 Nonostante la fatica.
 Nonostante il giorno dopo ci sia un'alta probabilità che tu non abbia nessuna facoltà di movimento.
Causa lacerazioni a tutti i gruppi muscolari presenti nella geografia del corpo umano.