Lapis and Notes



Lapis and Notes


Post Scriptum:

Welcome.
(To the Jungle).

"Gli svedesi hanno capito quello che la Scavolini ancora no. Ovvero. Che la gente comune ha 40 mt quadri per farci stare un letto, una cucina e un water. E ha sempre sognato la penisola. Poi si è ridimensionata, nel momento in cui ha realizzato un fatto.
Che i sogni si pagano al metro quadro".







venerdì 27 maggio 2011

E' così. Dato di fatto. Recidivo. (E non puoi farci niente).

Divento così sensibile e piagnona e sdolcinata e rincoglionita.
Quando sento quel profumo delle prime sere estive, intorno alle 8, alle 9. Quell'orario lì.
C'è quel profumo - che non so spiegare, forse pini, forse tigli? - che mi stringe il cuore, che mi riporta all'infanzia - a quando la scuola stava per finire, a quando potevi andare in classe con le maniche corte, le paperine e la gonna senza calze.
A quando potevi uscire sempre, poi, la sera.

Sdraiata sul letto, con la finestra aperta, arriva questo profumo perfetto, sempre uguale, ciclico.
Che sai che è estate anche se ti cancellassero tutte le coordinate temporali per un istante.
Ecco.
Non lo so perchè mi fa questo effetto, ma divento di un introspettivo da fare schifo. Nonostante cio', devo esserle grata, a questa stagione, in quanto mi regala sostegno psico-emotivo.
Senza scopo di lucro.
Un toccasana (tipo le terme per gli anziani, insomma).


E' che in estate succedono eventi propizi per il mio tentativo di sbarcare il lunario: ho la memoria buona, sono più attiva, mi abbronzo, dimagrisco, mangio il cocomero, posso vestirmi di fuxia senza che nessuno mi dica che sembro una bomboniera, non mi trucco, uso la bicicletta, vado al mare, posso nuotare senza morire assiderata, posso correre senza che mi venga la bronchite, ci sono le peschenoci, non si gonfiano i capelli (e questa è una gran cosa), c'è il profumo di cocco degli abbronzanti,  impiego 1 minuto e 33 secondi per vestirmi  e 4 netti per andare al lavoro (le scuole sono chiuse e il traffico si riduce dell'80%), le ore di luce sono superiori a quelle di buio.
E poi, sono quasi sempre di buonumore. Quasi, vabbè.
Ho addirittura fiducia nel destino.

Non sono forse questi motivi validissimi per credere nel giusto accadere delle cose?

Se non sei ottimista cronico alle porte dell'estate non puoi esserlo mai.
Ci sono tanti elementi favorevoli.
Ecco tutto.

Cioè.
Si capisce che non avevo niente di preciso da scrivere. Solo questo.
Provate a sentirlo, quel profumo.

(Magari lontano dalle rive del Crostolo).

martedì 24 maggio 2011

Specifichiamo.

Ci sono pubblicità e pubblicità.
 E' bene distinguere.

Ci sono pubblicità democratiche, informative, formative, utili e "liberatorie".
Ci sono pubblicità classiste, discriminanti, colpevolizzanti, opportuniste.

Ecco, per esempio, indovinate come possono essere distinte queste due.
























Appartengo a quella categoria di donne che la cellulite ce l'ha. Forse da sempre.
Quindi, ho una malattia.
Appartengo anche a quella categoria di donne che ha usato la Somatoline.
Ho comunque la cellulite.
Quindi, ho ancora una malattia.






Dopo aver dato per assodato questo fatto e averci riflettuto, posso con una certa libertà di espressione affermare che:
nonostante abbia una malattia e nonostante mi debba per questo anche sentire in colpa, preferisco comunque la pubblicità di qualcosa di veramente utile, concreto, che non cura le malattie.
Ma, almeno, ti fa cagare regolare.


Ps. Anche le vene varicose e i capillari sono classificabili come malattia, dunque?
[...]
Va bene, ne prendo atto.
Ho un piede nella fossa.

lunedì 23 maggio 2011

Sempre Lui (per fortuna).

Beppe Severgnini e Luca Sofri appartengono a quella schiera di persone che, per me, sanno scrivere.
E lo fanno molto bene.

Questo è quello che scrive Beppe Severgnini a proposito del nuovo libro di Luca Sofri:

"Luca Sofri è un ottimista.
Appartiene cioè a un club cui alcuni italiani s'iscrivono, ogni tanto; per poi dare le dimissioni, sfiduciati. Un libro intitolato Un grande paese (Bur Rizzoli) lo può firmare l'orgoglioso residente d'un popoloso borgo padano (Orzinuovi?). Il nostro autore, invece, scrive minuscolo e pensa maiuscolo.
«Grande paese - scrive - è la definizione che vorremmo poter dare dell'Italia, senza che ci scappi da ridere». O da piangere, a seconda dei casi e dell'umore. Bisogna dichiarare i conflitti d'interesse: conosco Luca S. Aggiungo: dopo trent'anni di giornali, venti di libri e quindici di tivù (part-time) conosco molti autori di saggistica; ma per il bene loro, mio e vostro, raramente ne scrivo. Stavolta è diverso.
Il libro è così inattuale - quasi romantico, per nulla cinico - che vien voglia di leggerlo e parlarne. Luca S. scrive in modo didattico - non didascalico, didattico - quasi avesse dubbi sulla voglia del lettore di seguirlo lungo i sentieri dell'amor patrio. Cercando di intuire «l'Italia tra vent'anni e chi la cambierà» tocca, nei capitoli centrali, un tema cruciale. Di quelli che, trasportati in televisione, producono dati d'ascolti simili alla crescita del Pil italiano (0,9% se va bene). Il tema è: l'elitismo. Vi prego, continuate a leggere. La questione è importante.
Luca S., citando una moltitudine di fonti, ricorda che attraversiamo un periodo in cui:
(a) l'ignoranza è chic
(b) lo sbagliato è sdoganato
(c) la mediocrità non conosce vergogna né sanzioni, anzi è sovente premiata
(d) le élites vengono viste come consorterie di potere chiuse al ricambio
(e) l'idea che ci siano persone di qualità superiore alle altre suscita repulsione.
L'autore protesta: non vogliamo «uno come noi» a governarci! Vogliamo uno migliore, possibilmente. Più competente, per esempio. Per quel che conta, sono d'accordo. L'idea che l'uomo della strada costruisca un ponte mi terrorrizza: preferisco se ne occupi un ingegnere. Per lo stesso motivo vorrei eleggere il mio rappresentante in Parlamento, e non avallare la scelta di uno scudiero da parte del Signore. Ma se lo scrivo i neo-populisti dicono: smettila, snob.
«Se qualcuno prova a ricostruire un discorso o una politica basata su progetti pedagogici e non demagogici - scrive Luca S. - gli vengono scaricate addosso le devastanti accuse di elitarismo, presunzione intellettuale e superiorità morale». È stato il trucchetto di Sarah Palin: ma nella Big Country l'hanno scoperto subito. Nel Grande Paese sognato dall'autore siamo più lenti. I populisti, invece, vanno forte. Scrive Luca Sofri: in una società come la nostra, bisognosa di buone guide e buoni esempi, «si investe deliberatamente sulla disinformazione dei cittadini, poi s'idolatra la volontà popolare». Certo: la mediocrità è una tentazione. Alimentarla produce ascolti, copie, applausi, voti. Il motto nazionale è diventato: «Diamo al pubblico ciò che vuole! Viva il paese reale!».
Ma se il Paese reale s'entusiasma per Lele Mora e guarda scemenze in TV, perché non gli diciamo di smettere?"

 

Un grande paese, l’Italia tra vent’anni e chi la cambierà non è solo un auspicio o un sogno. Ma il titolo che Luca Sofri ha dato al suo ultimo libro e non per il vezzo di pensare, così come qualche penna distratta ancora giudica certi sforzi. Ma per ragionare antropologicamente sul male interno all’anima del paese, dove si sviliscono le eccellenze, per insicurezza, per fobismo, per sciatteria. E si preferiscono, invece, i modelli mediocri o tristemente normali, che “assomigliano a tutti noi e con i quali non corriamo il rischio di sentirci in competizione”. Ma, di fatto, voltando lo sguardo lontano dagli esempi migliori.

Questo è quello che dice Luca Sofri a proposito del suo nuovo libro. E lo riporto qui:


Finalmente un libro pro e non contro: non sarà che il filone ottimistico, ma realistico, era proprio quello che mancava ad un’analisi sul futuro? Premetto che guardo con grande disincanto alle possibilità di cambiare in meglio le cose di questo paese. Semplicemente dico che, non essendo convinto delle categorie di pessimismo ed ottimismo, reputo il disincanto e la lucidità scarse e mediocri prospettive. E non influiscono sul desiderio o anche sull’inclinazione a cercare di fare le cose giuste.

Affetto e orgoglio: la base di partenza e poi l’obiettivo finale per l’Italia. Ma come arrivarci?
Avendolo presente, in seguito i modi ed i percorsi possono essere molti. Decidendo e coinvolgendo più persone possibili nell’idea che l’Italia ci interessa, al pari della sua identità, delle sue prospettive, e non che siamo sempre minoranza. C’è una tendenza da parte degli italiani che hanno care le cose buone giuste, a pensare che l’Italia sia un’altra cosa diversa da loro. Che siano minoranza in un’Italia che invece è vista come un luogo comune di dati negativi e difetti. Le persone si facciano carico dell’essere loro l’Italia, per poter diventare maggioranza e non per autocompiacersi di essere minoranza.

L’idea di miglioramento come carburante che autoalimenta la felicità del singolo e degli altri: come farlo metabolizzare ai cittadini?
È molto difficile. Una prospettiva di cui parlo nel libro è la soddisfazione di sé, l’autostima: un motore fortissimo nelle scelte contemporanee degli individui, ma non deve essere ricercata con metodi fallimentari. Oggi abbiamo tutti molto bisogno di affermare noi stessi, farci notare: è una continuazione nelle cose che facciamo. Che poi applichiamo su cose assolutamente futili e a breve scadenza. Fallimentari anche rispetto alla nostra soddisfazione da vanità, perché non siamo così stupidi da compiacerci seriamente dal fatto di poter affermare appunto di aver avuto ragione su una piccolezza. O di aver notato un dettaglio prima di altri. La propria soddisfazione del sé, trae in realtà nutrimento da elementi più rilevanti. In un tempo in cui non è più possibile, inevitabilmente, usare come motore l’altruismo, la generosità verso il prossimo, credo vadano presi in considerazione altri parametri: l’autostima, l’essere contenti di se stessi per fare le cose giuste e comportarsi bene; e un sentimento che non è la generosità verso un prossimo sconosciuto, ma verso chi ci somiglia per allargare il più possibile questa prospettiva. Fino a far diventare maggioranza un’idea di nostri simili.

E quel conflitto tra elitismo e antielitismo nel quale il paese è soffocato?
È un tema abbastanza centrale in un passaggio successivo del libro, circa i mezzi con cui portare avanti la possibilità di cambiamento delle cose. Ovvero il percorso all’indietro che abbiamo fatto nel coltivare e far crescere una disistima verso la straordinarietà delle persone, come quelle con capacità particolari, rispetto a ruoli, competenze e situazioni. Oggi sono viste con sospetto, fastidio, competizione. Tanto che, appunto, preferiamo votare come nostri rappresentanti delle persone normali, che ci somiglino, non straordinarie, con cui non ci sentiamo in competizione. Che sono addirittura peggiori di noi. Il risultato, poi, è sotto i nostri occhi. E deriva dal fatto che vediamo con sospetto di presunzione, o con fobismo, gli individui che hanno doti maggiori delle nostre. Ciò ha a che fare con una sparizione di modelli, che rappresenta un guaio contemporaneo, perché non sopportiamo più di poter pensare a delle persone migliori di noi. La verità è che vi sono tanti modelli migliori e soprattutto ci siamo noi stessi, che possiamo diventare migliori di come siamo.

Scrive che “la tragedia di un paese ridicolo è ormai compiuta”. Ma quando toccare definitivamente il fondo, per risalire una volta per tutte, allora?
Probabilmente mai, questa è una cosa che mi incuriosisce: come questi tempi e l’Italia abbiano cancellato quella categoria letteraria metaforica del “toccare il fondo”. Quella speculare ma uguale del “vaso che trabocca”.  L’Italia è un posto dove il vaso non trabocca più,  dove non si tocca mai il fondo. Dove un inesorabile declino può durare all’infinito. Per lungo tempo ho pensato, avendo alcuni modelli che mi incuriosivano, che ad un certo momento una rinascita provenisse da un totale fallimento. Sono arrivato ad auspicare, rispetto a certi progetti politici della parte a cui sono più vicino, ovvero la sinistra, che vi fossero enormi fallimenti e che potessero portare a degli azzeramenti. Penso a ciò che è accaduto in Inghilterra alla destra con Cameron che, spappolata dopo il successo di Blair, si è consegnata finalmente ad un’idea di rinnovamento totale. E mi sono chiesto se non potesse essere una strada anche per l’Italia: dove ad un certo punto il non sapere che pesci prendere, portasse ad un rinnovamento. Invece ho l’impressione che potrebbe non avvenire all’infinito, in quanto il declino prosegue un pezzetto alla volta, senza necessariamente far rompere gli equilibri. Per molto tempo si è ritenuto che la globalizzazione avrebbe fatto saltare questo tappo. Ovvero che i ritardi e i guai dell’Italia che al nostro interno riuscivano a convivere con se stessi creando una specie di ecosistema proprio, si sarebbero però ad un certo punto confrontati con il resto del mondo. Che avrebbe messo in rilievo i ritardi e avrebbero costretto l’Italia ad affrontare in un altro modo il suo futuro.

E invece?
In realtà mi sembra che neanche questo basti. L’Italia è un paese in grado di coltivare una propria arretratezza e farla sopravvivere, che invece, come da sempre accade nella storia e nelle avanguardie, porta avanti le retroguardie. Un paese dove esse sono così forti da trattenere le avanguardie.

L’Italia tra vent’anni: chi la cambierà?
Chi si impegnerà, chi si porrà il problema di cambiarla, e di ottenerla cambiata fra vent’anni. E non di mettere delle pezze o trovare soluzioni a piccoli problemi, spesso personali o localissimi, e solo nei prossimi tre giorni. Chi, e dovranno essere in parecchi, dovrà cominciare a pensare alla gallina domani e non all’uovo oggi. Perché nella logica dell’uovo oggi, è sufficiente che quelle uova si rompano per perdere tutto. Per entrare nella concretezza politica italiana, nel libro parlo di come l’unico esempio in questo senso che mi abbia incuriosito, sia stato quello della campagna elettorale di Walter Veltroni. Che ha avuto finalmente una visione effettiva, un’idea di un’Italia che andava più lontano, che era disposta a mettere in conto di perdere le elezioni imminenti per costruire qualcosa che avesse un respiro più lungo. Quella è stata una modalità che mi ha interessato, dopo di che il totale fallimento, all’indomani dell’appuntamento elettorale, di quel progetto sbriciolatosi così rapidamente, non so capire cosa intendesse dirmi. Se quindi una possibilità esiste, ma solo se la si affidasse a qualcuno che sia più robusto di quel Veltroni. Oppure se invece nemmeno quando qualcuno manifesti una visione di quel genere, si riuscirà a cavarne qualcosa.


(Intervista di Francesco de Palo, da  Il Futurista)

Ho riportato tutto, per:

1.Comodità
2.Pigrizia
3.Perchè il libro lo sto ancora leggendo (ma sono ancora un po' indietro, pagina 17 tipo)
4. Perchè c'è chi lo ha già letto tutto ed è molto più capace di me a scriverne. 

 

venerdì 20 maggio 2011

Senza te (non) morirei. (Anzi).

Sottotitolo 1: C'è che mi constringi a prenderti in considerazione.

Sottotitolo 2: Cose che se si potessero eliminare anche solo di 1/3 la qualità percepita di vita sarebbe statisticamente migliore. O no?

- Progetti e impegni "assolutamente" da fare, assolutamente "subito". Inderogabili.
- Pulizie del Sabato.
- Pila di libri da leggere sul comodino.
- Scoperta quotidiana di Blog da leggere.
- Il  numero delle testate dei quotidiani on line.
- Applicazioni per I-phone gratuite.
- Elenco di oggetti "in osservazione" sul Mio E-bay.
- Gli (plurale) Spritz.
- Jackass, Griffin, tutti gli Scary Movie, American Pie e Ace Ventura del caso.
- Le volte che devi fermarti a fare benzina al Self.
- Quantità di carboidrati, sigarette, zuccheri e alcool concentrati dal venerdì  h19.00 alla domenica h 23.00
- Le cause della Cellulite. (Donne, come dice lo spot, la cellulite è una malattia - Cazzo, allora è un po' come dire che nascere in Italia è una malattia. Sì, in effetti - forse - questo, lo è davvero).
- Il numero di coloro che disegnano/producono scarpe da donna.
- Le volte che è necessario fare il cambio dell'armadio da estate a inverno e conseguente cambio di materasso da cotone a lana.
- L' analisi di qualsiasi tipo di evento accaduto/in essere (tipo, perchè il cielo è blu? Perchè l'acqua del mare è salata? Cose così, insomma. Un po' NationalGeographic).
- Le federine per il cuscino necessarie per il viaggio.
- Il tacco 12.
- Il vino rosso e la sangria.
- Le domande.
Retoriche, inquisitorie, ipocrite, di approfondimento, nostalgiche, conoscitive, informative, stupide, paradossali, suppositive, generiche, specifiche.

(Sempre e comunque quasi tutte senza risposta, quelle importanti davvero).




lunedì 9 maggio 2011

Era Meglio morire da piccoli. (Non avremmo dovuto rispondere in eterno alla solita, inopportuna, impertinente domanda).

In genere, da piccoli, non lo sappiamo mai, cosa vogliamo fare da grandi.
In genere nemmeno da grandi, lo sappiamo mai, cosa vogliamo fare da ancora più grandi (...De senectute, quindi?)

Non capisco anche questa pessima abitudine che la gente ha di farcela da piccoli LA domanda, aumentando notevolmente la difficoltà di risposta.
Almeno, se ce la facessero da grandi, qualcosa da raccontare lo troveremmo.
O comunque potremmo improvvisare. Insomma, qualcosa da dire ti viene. Anche solo per un dovere etico verso il proprio ego. Per dovere di cronaca. Unitamente a qualche conoscenza/esperienza in più in merito alla gestione dello stress, alla risoluzione dei problemi e a un comportamento sociale politicamente corretto.
O anche solo perchè ti insegnano che alle domande bisogna rispondere. (Non mi è mai piaciuto chi barra la casella: "non sa/non risponde").
Io, a 14 anni,  non lo sapevo cosa volevo fare da grande. E nemmeno ora, a 29, lo so cosa voglio fare da grande. (Sperando intanto che questo "grande" non arrivi entro breve, chè potrebbe cogliermi impreparata, con tutta  probabilità).

C'è pero' che, a 29 anni, se ti chiedono cosa vuoi fare da grande (ahimè non te lo chiede mai nessuno, nel momento che forse ci salti fuori con la risposta. D'altra parte è sempre così, la vita) riesci perlomeno a delimitare meglio il campo, o comunque a dare meno possibilità direzionali al tuo destino: magari sono "solo" 2 o 3 misere opzioni  e non più, come a 14 anni, una ventina: la dottoressa, la circense, la disegnatrice di tatuaggi, l'avvocato, la sindacalista o, eventualmente, l'insegnante di nuoto.
Delimiti di piu' il campo, sì, ma non perchè hai deciso, a 29 anni, no, non hai ancora deciso un cazzo di niente, semplicemente perchè hai visto che il tempo stringe, ti corre dietro come in una maratona infinita.
Hai dovuto e voluto provarti la temperatura, hai voluto vedere fino a quanto lontano riesci a correre e quanto veloce lo fai, hai dovuto entrare nella vita e rimboccarti le maniche, hai dovuto fare vedere che sai essere indipendente-autonoma-forte-determinata e - di conseguenza - hai fatto delle scelte che ti hanno portato verso una direzione che, nel suo diventare, ne ha escluse, impedite (e cancellate per sempre, con grande rammarico) centinaia di altre.

Agli albori della mia infanzia, avrei voluto aprire una cartoleria, in quanto amante di quaderni-blocchi-biro-pastelli e tutto ciò che serve per scrivere e disegnare. Poi, vedendo quello di fianco a scuola - che doveva sorbirsi tutte le lamentele dei genitori dei bambini che reclamavano il lapis numero 3 HD con punta medio-fine e il tratto-pen con il codice H7UYF - proprio quello eh - decisi che no, non faceva per me.
Dopo, mi venne la grande idea di fare la disegnatrice di tatuaggi e lavorare come assistente a Lauro Tattoo. Possibilità scartata nel momeno in cui capii che sarebbe stato troppo truce per me vedere tutte quelle operazioni di tatuamenti, scarnificazioni e innesti di piercing in ogni parte del corpo.
Mi viene un po' il vomito, ecco.
Poi optai per filosofa, chè io lo amo Kant e tutta la stirpe dei grandi pensatori.
C'è che non fa per me la vita da eremita. Ho paura di stancarmi, lassù sulla montagna, se non venisse poi a trovarmi nessuno. Vivrei di ortaggi e frutta di mia coltivazione (quindi, di stenti), poi - passati quei 6 mesetti buoni - andrei al Lidl a fare scorta di superalcolici e finirei distesa nella prima siepe a cantare Loredana Bertè. Non voglio mica la luna. No.
Un pochino, mi conosco.

Successivo fallimentare periodo in cui decisi di fare l'artista, ma - ahimè - scelsi la scuola magistrale, senza peraltro essermi mai fatta sfiorare dall'idea di insegnare Qualcosa a Qualcuno. Perlamordidio.
Dopo i miei 2 giorni e mezzo di supplenza alla scuola materna, e la mia brava settimana alle elementari, anche qui capii, in un arco di tempo che duro' 6 minuti netti, che non faceva per me. Non sapevo le filastrocche, non sapevo da che parte girare i neonati per cambiargli il pannolino, e i bimbi più grandi mi chiedevano aiuto a risolvere le funzioni esponenziali. (Eh? Ai miei tempi, secondo me, non si facevano. Oppure ero a casa con la varicella, quel giorno).
L'indirizzo socio-psico-pedagogico (pedagogico a parte) sentivo che era quello per me.
Eh, come no.
Fisica, matematica, latino, geometria. No, grazie.
Psicologia, sociologia, filosofia, italiano. Qui già meglio.
Alla fine, considerando le attitudini-interessi e andando un po' per esclusione (dai, chi non lo fa, di andare per esclusione con la tecnica della scelta del meno peggio, siamo sinceri. Tutti avevate già il bersaglio preciso preciso?) arrivo' l'illuminazione decisiva, anche se non proprio vincente (in quanto poi non realizzata - ma questo lo ometto, chè devo fare bella figura adesso che sono quasi trentenne) - decisi di fare la: Psicologa.
Cioè, intanto, di iscrivermi alla Facoltà di Psicologia.
Da lì a là, poi, ne passa.

Infatti.

Ho seguito un cammino irto di pericoli e ostacoli  alla Facoltà di Psicologia di Parma, accompagnata ad un utilissimo soggiorno vacanze in azienda - di un anno -  con l'obiettivo di imparare a rimpicciolire/ingrandire fotocopie gratis (non sembra, ma i tirocini, insegnano un sacco sulla tecnologia in fatto di stampanti, fotocopiatrici, collegamenti, porte USB, scanner).
Anno necessario per fare l' Esame di Stato. Chè se no non hai abbastanza competenza, eh.

Poi è successa una cosa.

Ho capito che no, la Psicologa io non la volevo fare.
Nè da piccola, nè ora.
Ne ho già abbastanza dei miei, di problemi  
[...sapere riconoscere i problemi è il primo passo verso la guarigione...] 

E poi, c'è un' altra cosa.

Ve l'ho mai detto che da grande avrei voluto scrivere?




Per dovere di cronaca, c'è anche chi ha sempre avuto le idee molto chiare in merito a cosa avrebbe voluto fare da grande.