1. Non è che non credo nell'amore. No. Credo che, a causa della limitatezza e della finitezza della condizione umana sia impossibile scegliersi una volta per tutte, in modo esclusivo, definitivo. Sono limiti imposti dal mondo materiale, dalla concretezza dei sensi, del corpo, da barriere e cancelli che impediscono il fluire di qualcosa che materiale non è. Il dislivello dei piani crea costante incoerenza e attrito, paradosso e ambivalenza. Lasciandoci sempre una gran confusione, poche certezze e innumerevoli, eterni, punti di domanda.

Ma c'è una cosa che la solitudine ti dona: quando percepisci di essere tu, solo tu, ti osservi mente sei, non è forse una cosa incredibile? Una totale, nitida, consapevolezza di forza, di esserci, di scegliere senza vincoli, di un possibile tutto?

L'attesa che passi una sofferenza, una seduta dal dentista, che venga l'estate, che cambi qualcosa, di vedere l'arcobaleno, del proprio turno al banco dei salumi, che torni il sole, del weekend, di trasferirsi, di cambiare lavoro, che venga mattina, del momento di andare in ferie, di domani, Natale, Pasqua. La costante attesa diventa una fuga dal qui e ora, dal momento che stiamo vivendo, adesso. E che nessuno mai ci restituirà o ci permetterà di rivivere in uguale modo. Ci saranno mille altri lunedì sera. Ma questo è unico. E' unica questa luce al tramonto, questa rugiada, questa canzone che arriva dalla casa a fianco.
Sarebbe bello sfruttare meglio le attese considerandole parte integrante e necessaria del Tutto e non come un passaggio, non come una condizione sempre tesa ad una ipotetica aspettativa seguita in automatico da un concreto evento.
Possiamo provare, per un momento, ad essere un po' meno materialisti? Finalizzati? Lucrativi?
L'attesa diventa vita vissuta, assume un senso e regala momenti preziosi solo nel momento in cui smettiamo di considerarla tale.
Ps: Tutto quello che ho scritto in seconda persona singolare o prima plurale, ovviamente, è tutto riferito a fatti, eventi e persone accaduti in prima persona singolare - cioè a me. Sono cose che penso io, magari non tu e non noi. (Magari "tu" stai ridendo un pochino, magari non troppo eh, oppure stai pensando che questa qua ha perso un qualche venerdì, mi rendo conto. Assecondami, per favore, dai. Eh? Si, vero? Ti prego! Su, uno sforzo, assecondami).
E' che fa più scena scrivere di un ipotetico "tu" o ancora meglio di un ipotetico "noi".
Questione di condivisione presupposta, senza nessuna prova empirica della stessa. Insomma, è bello raccontarsela.
Mi sento un po' meno idiota, anche.